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Storia degli Agrumi

MANDARINO ANTICO

Gli agrumi comprendono un importante gruppo di piante che appartengono alla famiglia delle Rutacee, sottofamiglia AuranzioideeFacendo uso di tecniche differenti, vari ricercatori giunsero alla conclusione che i diversi tipi di agrumi che oggi conosciamo derivano, almeno, da tre taxa principali: i cedri, i pummeli e i mandarini, Con il trascorrere del tempo queste specie basilari si diversificarono favorite da diverse circostanze, come la selezione naturale, le ibridazioni occasionali, le mutazioni spontanee, l’apomissia ecc., e a poco a poco si andarono acclimatando e disperdendo in aree prossime a quelle della loro origine.

 Alla luce delle ultime scoperte, l’origine delle specie principali del sottogenere Eucitrus sarebbe questa: il cedro proverrebbe dal nord-est dell’India e della Birmania (Myanmar), il pummelo dal sud-est della Cina, dall’Indocina (Laos, Cambogia e Vietnam) e dalla Malesia, il mandarino dal sud-est della Cina. Da queste tre specie deriverebbero tutte le altre.

L’arancio amaro proverrebbe dal sud dell’Himalaya, dal nord-est dell’India e dal Nepal, il limone dal nord dell’India e probabilmente dal sud-est della Cina e dal nord della Birmania, la lima dall’arcipelogo del Sud-Est asiatico e l’arancio dolce dal nord-est dell’India, dal sud-est della Cina e dall’Indocina. Il pompelmo (C. paradisi Macf.) è una specie moderna, che si originò nel XVIII secolo nel Mar dei Caraibi, probabilmente nelle isole Barbados.

Lentamente e senza sospendere il loro processo evolutivo, arrivarono nel bacino del Mediterraneo e poi nel Nuovo Mondo diverse specie e varietà, alcune in epoca relativamente recente. L’uomo ha sempre provato una forte predilezione per gli agrumi, le cui virtù sono state esaltate fin dai tempi antichi da poeti, viaggiatori, narratori e scrittori dell’ambito agrario. In passato erano utilizzati unicamente a scopo ornamentale e medico, dato che i vantaggi economici che si potevano ricavare dalla coltivazione e dalla commercializzazione furono scoperti solo molto più tardi.

Gli agrumi in Oriente, loro luogo di origine

È cinese la più antica citazione sugli agrumi che conosciamo. È riportata nel libro Yu Gong che si diffuse 4000 anni fa e richiama documenti precedenti.Sono molti gli autori che riferiscono degli agrumi in Cina. Alcuni sono botanici, come Shen Nung (III secolo) e T’ao Hung-Ching (V secolo), altri sono poeti come Ssu Hsiang-yu (II secolo) e Sung Yu (III secolo), nelle cui opere vengono citati aranci amari e dolci, mandarini, poncirus, cedri, cedro digitato e altri ancora. Senza dubbio la pubblicazione più interessante è il Trattato degli aranci scritto nel 1178 da Han Yanzhi. Si tratta di una monografia agrumicola molto completa su varietà, portinnesti, tecniche colturali, malattie e impiego officinale.

Il passaggio del cedro in Occidente

Sebbene vi fossero relazioni tra Oriente e Occidente da tempo immemorabile, i primi rapporti commerciali permanenti si stabilirono grazie alle conquiste di Alessandro Magno (356-323 a.C.), quando invase l’Asia Minore, l’Egitto, la Media e la Persia e arrivò fino al fiume Indo, al confine con l’India.

Queste campagne militari permisero ai botanici al seguito dell’esercito di conoscere il cedro nella Media e nella Persia (Iran e Irak), regioni in cui la sua coltivazione era abbastanza diffusa, a cui diedero il nome di “mela della Media” (malus medica) o “mela della Persia” (malus persicae). È possibile che il cedro e altri agrumi fossero presenti in altre regioni comprese nei suoi domini, ma non furono considerati interessanti e non furono citati. Rimane il fatto che solo il cedro fu introdotto in Grecia e si può supporre che a poco a poco fosse conosciuto in Siria, Palestina ed Egitto.

CEDRO ANTICO

Il cedro nel mondo ellenico

Teofrasto di Ereso (327-288 a.C.), contemporaneo di Alessandro Magno, nella sua opera Historia plantarum cita il cedro dicendo che i suoi frutti, pur non essendo commestibili, servono per preservare i vestiti dalle tarme, sono un antidoto per il veleno e conferiscono un buon profumo all’alito. Dal punto di vista botanico, scoprì nel pistillo l’organo riproduttore e sottolineò che potevano trovarsi frutti maturi in tutte le stagioni dell’anno.

Le prime notizie sul consumo del cedro come alimento e non come medicinale provengono dallo scrittore Plutarco (ca. 50-120), in particolare dalle sue Quaestiones convivales. Nel suo libro De alimentorum facultatibus, Claudio Galeno (129199) identifica e descrive minuziosamente il frutto del cedro (citrus) dicendo che è composto da tre parti: quella interna, acida e non commestibile, contiene semi e polpa; quella intermedia, che è come la carne del frutto (albedo) e quella esterna, rugosa e gialla (flavedo). Dice pure che la buccia è odorosa e aromatica e consumata in piccole quantità facilita la digestione e fortifica lo stomaco. La polpa è nutriente, sebbene di difficile digestione; se però la si mescola con aceto e con una salsa di pesce chiamata “garo” (garum) il suo sapore viene esaltato e la si può consumare.

Il cedro nell’impero romano

Dalla Grecia il cedro giunse a Roma e fu Virgilio (70-19 a.C.) il primo a menzionarlo nelle Georgiche elogiando il frutto della Media, basandosi senza dubbio sugli scritti di Teofrasto.Il gastronomo Marco Gavio Apicio (I secolo) ci ha lasciato uno splendido libro di cucina, il De re coquinaria. Sebbene citi per due volte il cedro, non lo fa sotto il profilo alimentare: da ciò si desume che a Roma, all’epoca, non venisse utilizzato a tale scopo. Più tardi Palladio (IV secolo), autore di opere dedicate all’agricoltura, nel suo Agriculturae opus parla delle diverse tecniche di coltivazione del cedro con riferimento a propagazione, concimazione, irrigazione e potatura.

Il cedro nel Mediterraneo occidentale

Non è possibile determinare l’epoca in cui il cedro è giunto in Spagna provenendo dall’Italia. La prima menzione nota si trova nelle Etimologie del vescovo Isidoro di Siviglia (560-636) che, citando Virgilio, nomina il cedro e dice che i Greci lo chiamano medica arbor e cedromelon e i Latini citria.

L’arancio amaro, il limone e il pummelo giungono in Occidente

La diffusione degli agrumi in Occidente procede parallelamente al consolidamento dell’Islamismo, fino ad acquisire una notevole importanza in Andalusia, la zona più lontana dalla loro area di origine.

Lungo vie commerciali tracciate da tempo immemorabile, l’arancio amaro (narany) sarebbe arrivato dall’Oriente, attraverso l’Egitto e il Nord Africa, nella Penisola Iberica.

Si hanno notizie della sua presenza in Medio Oriente nel IX secolo e in Andalusia nel X secolo, quando fu citato per la prima volta in un trattato anonimo di agricoltura andalusa. La più antica menzione del limone (lamun) in Andalusia si deve a Ibn Bassal (XI secolo) di Toledo nel suo Libro di agricoltura. Sicuramente seguì la stessa rotta dell’arancio amaro per arrivare in Spagna.

LIMONE QUADRATO

I trattati di agricoltura andalusi

Nel corso del Medioevo i più importanti riferimenti agli agrumi si incontrano negli scrittori dell’Occidente musulmano, soprattutto in quelli andalusi.

Sebbene frammentato, tra i secoli XI e XIII ci è pervenuto un trattato completo di agrumicoltura: alcune delle tecniche descritte sono ancora attuali e le specie sono state raggruppate in base al loro adattamento al clima e anche secondo la natura della linfa. Sono state classificate almeno quattro specie di agrumi: cedri, aranci amari, limoni e pummeli, poiché le lime, sebbene citate con questo nome, risultano di dubbia identificazione.

Sono state descritte le varietà note, le norme del vivaismo e le tecniche di propagazione vegetativa. Si sapeva, inoltre, che le piante propagate per innesto e per talea fruttificavano prima di quelle ottenute da seme.

Gli agrumi in Europa nel Medioevo

Non si conoscono altri specifici trattati di agricoltura simili a quelli scritti dagli autori arabi.

Riferimenti agli agrumi si trovano soprattutto nelle opere di medicina e in quelle di viaggiatori e di storici e, in ogni caso, la frutta era considerata in generale principalmente una medicina e non un alimento. Le citazioni più antiche di agrumi, risalenti al XII secolo, si trovano nell’opera di Hugo Falcandus Historia Hugonis Falcandi Siculi de rebus gestis in Siciliae regno, che descrive le bellezze della Sicilia e cita la presenza di fruttiferi tra cui gli agrumi, di cui si dice che hanno all’esterno una buccia colorata e odorosa e all’interno sono acidi.Ai tempi delle crociate, Jacques de Vitry (ca. 1160-1240) scrisse Historia orientalis in cui dice che i crociati trovarono in Palestina il pomo d’Adamo, di incerta identificazione, i limoni, i pummeli e le arance amare. È possibile che i crociati al loro ritorno portassero con loro questi frutti. Il senatore bolognese Pietro de’ Crescenzi (1233-1320) scrisse un’opera di carattere agricolo e sanitario, Liber cultus ruris, basata essenzialmente su testi greci e latini, in cui tratta della coltivazione degli agrumi e specialmente della loro difesa dal freddo. 

L’arancio dolce: una nuova specie nel Mediterraneo

Fu agli inizi dell’epoca moderna che l’Europa fece la conoscenza dell’arancio dolce.

È ancora misteriosa la modalità con cui arrivò dall’Oriente: probabilmente mediante le rotte marittime-terrestri, attraverso il Mar Nero e il Golfo Persico, alla fine del XV secolo o agli inizi del XVI venne importato dai commercianti genovesi o veneziani che avevano relazioni con l’Oriente.

Quelle piante, per il clima idoneo, si riprodussero in Liguria e da lì si diffusero nel resto dell’Italia, nel sud della Francia e nel sud-est della Spagna. È molto probabile che abbiano conosciuto le arance dolci nei porti cinesi, coltivate in quei luoghi da tempo immemorabile, e si può supporre che nella prima metà del XVI secolo siano giunte nel porto di Lisbona. Dal Portogallo passarono in Spagna e quindi in Italia. 

Gli agrumi arrivano in America

 

Come riferisce Bartolomé de Las Casas (1489-1566) nella sua Storia delle Indie, gli agrumi furono portati nel Nuovo Mondo da Cristoforo Colombo nel suo secondo viaggio: il 22 novembre 1493 sbarcò a La Española (Haiti) e poiché si seminava tutto ciò che si portava dalla Spagna, certamente ciò accadde anche per i semi di aranci, limoni e cedri.

I missionari gesuiti, nell’ultimo terzo del XVI secolo, diffusero gli agrumi in gran parte del Sud America.

Tra il 1513 e il 1565 gli agrumi giunsero in Florida, grazie alle colonie dei missionari francescani (missione di Sant’Agostino) e da lì rapidamente si diffusero in Georgia, nella Carolina del Sud e, più tardi, a partire dal 1769, furono introdotti in California dai colonizzatori e missionari spagnoli (missione di San Diego) che li coltivavano nei loro orti e giardini. L’introduzione in Brasile avvenne tra il 1530 e il 1540.

L’agrumicoltura nell’era moderna

Appartengono ai primi tempi di questo periodo interessanti trattati di agricoltura in cui l’uso medicinale va perdendo interesse a favore di quello ornamentale e di un limitato consumo. Di conseguenza, la descrizione delle varietà e delle tecniche di coltivazione assume maggiore importanza come testimoniano i capitoli dedicati agli agrumi nelle opere di Alonso de Herrera (1513), Charles Estienne (1536), Agostino Gallo (1559), che scrive sull’utilità del cambio della varietà. Spicca l’opera di Olivier de Serres (1600), un vero trattato di agricoltura che si stacca totalmente dalla medicina e dalla botanica, in cui gli agrumi sono considerati come piante per la produzione economica di frutti, seppure in scala molto ridotta. Le Théâtre d’agriculture et mesnage des champs può essere considerato l’opera più completa di questo periodo, in cui sono trattati in dettaglio le tecniche di propagazione, l’innesto e lo sfruttamento economico dei frutti.

 

È interessante rilevare che fino a quel periodo gli autori menzionati non scrivono di parassiti delle piante (ciò fa supporre che essi non provocassero danni significativi) ma riportano i danni da temperature basse. Con il passare del tempo, l’interesse per la coltura degli agrumi aumenta, solo però per fini ornamentali e collezionistici. Stranamente questo fenomeno è più diffuso in luoghi freddi, dove la coltivazione in piena area sarebbe impensabile; pertanto vengono adoperate strutture fisse o mobili per la protezione dal freddo che in seguito verranno chiamate orangeries. Le piante sono prodotte prevalentemente nel Nord Italia, soprattutto nei vivai di Genova, e vengono inviate sotto copertura ai collezionisti dei diversi Paesi. 

Nei loro testi scompaiono gli aspetti fantasiosi riportati nelle opere del passato e si parla di alcuni parassiti come formiche, cimice verde, forbicina, afidi e cocciniglie; per la prima volta viene citata la fumaggine. Il freddo, i venti e la grandine sono considerati nemici naturali.

 

Dezallier è il primo specialista che parla di innesto a T rovesciata e ne giustifica l’impiego. Infine va sottolineata la relazione tra gli agrumi e lo scorbuto, accertata da James Lind nel 1754, che consentì ai naviganti di fare lunghe traversate in condizioni sanitarie migliori.

Gli agrumi nel mondo e nel XIX secolo

Nel XIX secolo l’agrumicoltura europea presenta l’inizio di una profonda trasformazione: la coltivazione ornamentale cede il passo a quella economica.

Le opere fondamentali di questa prima fase sono il Traité du citrus (1811) dell’italiano Giorgio Gallesio e Histoire naturelle des oranges (1818-1822) dei francesi Antoine Risso e Antoine Poiteau.

 

In entrambe le opere si manifesta l’interesse per la coltivazione in piena area: nella prima l’autore ipotizzò l’esistenza delle mutazioni per giustificare l’origine di alcune varietà e intuì l’esistenza di certi “principi” riguardanti gli individui, alludendo al patrimonio genetico.

A metà del secolo cessano le pubblicazioni agrumicole nei Paesi con temperature invernali che non consentono la coltivazione senza protezione dal freddo e iniziano nei Paesi con clima adeguato e con potenzialità produttive importanti. L’agrumicoltura economica si va concentrando nelle località dove si può coltivare in piena aria e si sviluppa grazie alla richiesta dei mercati. In quel periodo si manifesta la gommosi (Phytophthora spp.) in alcuni limoneti del lago di Garda.

In Spagna i primi impianti ai fini commerciali furono realizzati alla fine del XVIII secolo. L’agrumicoltura spagnola si basa sull’esperienza acquisita e sulle pubblicazioni periodiche di quegli anni, molte delle quali straniere. Nel XIX secolo si trasforma in un’attività con fini di lucro.

I riferimenti agli agrumi nel Sud America sono consistenti e compaiono i primi impianti commerciali. Nel 1800 si scopre la varietà Bahia o Washington Navel, pietra miliare dell’agrumicoltura commerciale. Sebbene le arance ombelicate fossero note nel XVII secolo, come riporta Ferrari descrivendo la varietà Aurantium foemina sive foetiferum, la Bahia era di qualità notevolmente migliore e senza semi e sembra essersi originata da una mutazione gemmaria avvenuta in una pianta di arancio Selecta. Con minor impeto ma con fermezza ha inizio l’agrumicoltura commerciale in Brasile, in Sud Africa, in India e in altri Paesi quali Argentina e Uruguay che nel tempo diverranno importanti produttori.

Negli Stati Uniti l’agrumicoltura irrompe con forza alla fine del secolo e compaiono numerosi articoli in riviste specializzate e diverse pubblicazioni monografiche destinate alla conoscenza degli agrumi e alla loro produzione commerciale, con pochi riferimenti all’agrumicoltura del Vecchio Mondo.

A causa della concentrazione della coltura si diffondono nuovi parassiti, specialmente cocciniglie, ma è la comparsa della gommosi che produce i maggiori danni. Fino ad allora l’agrumicoltura era basata fondamentalmente sull’uso di piante autoradicate o innestate sui soggetti arancio dolce, limone o cedro; la gommosi le colpì gravemente e costrinse a impiegare l’arancio amaro dando origine a un nuovo assetto dell’agrumicoltura. Il numero delle varietà descritte e consigliate nelle diverse opere fu ridotto, propagando solo quelle che avevano importanza commerciale per il consumo e in particolare quelle di arance bionde comuni.

AGRUMI COMPLETO

 

 

 

 

 

Nuove specie: pompelmo e mandarino

Sconosciuto in Oriente e per un certo periodo considerato un tipo di pummelo, il pompelmo è comparso di recente. Le prime citazioni riportano il nome di forbidden fruit o frutto proibito e provengono dal reverendo e naturalista Griffith Hughes in The Natural history of Barbados (1750).

Il botanico inglese James MacFayden nel 1837 gli diede il nome di Citrus paradisi.

Fu introdotto in Florida nel 1823 dal conte francese Odett Phillippe che lo piantò nella baia di Tampa e da lì si diffuse in California e in altri Paesi del Mediterraneo; nel 1909 arrivò in Spagna.

Il mandarino Comune (C. deliciosa Ten.), descritto da coloro che furono direttori del Real orto botanico di Napoli, Vincenzo Tenore e Giuseppe Antonio Pasquale nel loro Compendio di botanica (1847), si conobbe in Europa duecento anni fa quando Sir Abraham Hume portò nel 1805 in Inghilterra, giungendo da Canton, due varietà di mandarino e una di esse era il mandarino Comune; sembra che successivamente siano state portate a Malta e in Sicilia e dopo nel 1828 nel continente. In seguito, nel 1842, il mandarino Comune si coltivava nei dintorni di Parma e nel 1848-1849 nella contea di Nizza e nei pressi di Genova. In Spagna fu introdotto dal conte di Ripalda nel 1845.

Il XX secolo. Consolidamento ed espansione della coltivazione commerciale

Nel XX secolo gli agrumi costituiscono un’attività esclusivamente commerciale.

Sono state selezionate nuove varietà più gradite dal consumatore e la superfice destinata agli agrumi è aumentata considerevolmente. Sono comparsi malattie devastanti e parassiti sconosciuti, affrontati dai centri di ricerca con nuovi portinnesti, antiparassitari più efficaci e selettivi, agrotecniche più efficienti ecc. Attualmente gli agrumi si coltivano in più di un centinaio di Paesi con clima tropicale e subtropicale che producono circa 100 milioni di tonnellate, quantità notevolmente superiore a quella di altri frutti come mele o uva. (fonte: Coltura e Cultura)